Ott
23
2010
2

I diari della Luchadora #4

Un tanga non fa un tango. Ma una bombilla fa una milonga.

Un tacco dodici centimetri? Una gonna corta dallo spacco vertiginoso? Una scollatura che non lascia spazio all’immaginazione? Uno smalto rosso fuoco? Sono veramente questi i dettagli che rendono una donna sensuale? E quando la sensualità si traduce in volgarità?

Nelle milonghe, ultimamente, noto con un po’ di rammarico che spesso si confonde la sensualità con la volgarità. Ma che cos’è la volgarità? Sicuramente è oggetto di discussioni spassose con altre donne. Ma lo spasso, talvolta, può trasformarsi in rabbia. Com’è possibile che quella ragazza non si renda conto di essere ridicola? E perché quell’uomo anziché non assecondarla la induce ad aumentare quel comportamento grottesco?

Giorni fa mi è capitato di andare in una milonga dell’Eur. Una sala spaziosa, dal liscio pavimento di marmo, all’interno di un edificio costruito da Mussolini. Sono sempre stata un po’ restia nell’entrare in quella struttura architettonica della mia città, frutto di un orribile passato della mia terra. Tuttavia tutti parlavano di quella milonga come di una location perfetta per il tango. La mia curiosità era diventata troppo forte e, soprattutto, mi ero convinta che una milonga all’interno di un edificio d’origine fascista potesse essere un buon modo per riappropriarsi di un luogo che comunque c’è, ancora esiste, ed è impossibile ignorarlo. Ma è stato proprio lì che ho assistito a uno degli spettacoli più brutti degli ultimi anni. Una formosa ragazza di poco più di vent’anni, decisamente poco sobria, si agitava stretta in un abitino scollato e corto nel mezzo della sala. Arrancando sui suoi scintillanti tacchi alti si aggrappava a un uomo sulla quarantina, o su di lì, che la strapazzava a destra e a sinistra alzandole (distrattamente?) il lembo della gonna corta che scopriva interamente il suo fondoschiena neanche troppo piccolo e solcato da un sottilissimo perizoma nero. La prima cosa che ho pensato è stata: “Questo è certamente un tanga ma non è certamente un tango!”

Come la maggior parte delle persone presenti ho cercato di non badare troppo all’episodio. Lo ammetto: ho provato vergogna per la scena che si svolgeva di fronte ai miei occhi. Quasi mi sono scoperta in cerca di un telecomando immaginario per cambiare canale. Ma quella non era una velina che si faceva umiliare in diretta tv. Era una ragazza vera. In carne e ossa. Ho pensato: “Avrà bevuto un bicchiere di vino, può capitare di non reggerlo! A chi non è mai capitato? Può accadere, è umano!” Ma poi ho assistito alla scena successiva e ho pensato: “No, tutto ciò non dovrebbe accadere in una milonga così come nella vita quotidiana!” La ragazza era seduta su un cuscino davanti allo stand di un famoso negozio di scarpe da tango che quella sera esponeva la merce in vendita. La ragazza poco sobria faceva finta di allacciarsi e slacciarsi le scarpe. Provava modelli nuovi. Il tutto davanti a un fotografo tanguero che le chiedeva di continuare lo svilente teatrino perché lui ne avrebbe tratto un “fantastico reportage di milonga”. La ragazza allora proseguiva. E io pensavo che più di un reportage di una milonga si trattasse di un reportage che in gergo militaresco si definirebbe “da un’area di crisi”. Il tutto si svolgeva davanti al proprietario dello stand che inizialmente era interdetto, poi infastidito, quindi decisamente arrabbiato quando la ragazza, noncurante e in posa davanti all’obiettivo, facendo finta di leccare le suole delle scarpe in vendita, ha rovesciato un intero cocktail a terra. Né la ragazza né il fotografo hanno chiesto scusa. Anzi, la ragazza ha afferrato al volo un paio di scarpe incorniciandole al suo volto. E, insieme a quel paio di scarpe, non si è lasciata sfuggire l’occasione per mostrare all’obiettivo del fotografo una falsissima faccina che con aria “birichina” sembrava dire: “Oh, che sciocchina che sono!”. Il fotografo l’ha presa per un braccio e l’ha portata via. Saranno stati in molti a tirare un sospiro di sollievo. Il mio telecomando immaginario aveva funzionato? Ero riuscita a cambiare canale? Niente affatto: i due si erano spostati pochi metri più in là. E mentre il proprietario dello stand di scarpe da tango asciugava il pavimento, i due – in area di crisi esistenziale – si erano sistemati attorno a una colonna marmorea della grande milonga. La ragazza si strofinava sulla colonna e il fotografo continuava a scattare foto. Una tristezza infinita aveva invaso la milonga. Né Gardel, né Piazzolla, né tantomeno Pugliese sarebbero stati in grado di ripristinare la magica atmosfera di una vera milonga. Quei due erano come un brutto graffio su un antico e prezioso vinile. Per tutti noi tangueri la serata era finita. Il tango era svilito. Tornando a casa, continuavo a chiedermi il perché fossimo stati tutti costretti ad assistere a quella brutta scena. Perché nessuno fosse intervenuto per dire: “Hey, questa è una milonga!”

La bellezza di un corpo si era trasformata in volgarità. Il fascino della milonga, di colpo, sembrava essere diventato una chimera. E allora mi chiedo se tutti quegli esperti tangueri, molto critici verso la non oculata diffusione del tango, con cui spesso discuto non abbiano, invece, ragione. Che l’eccessiva e superficiale diffusione del tango possa rischiare di inquinare una filosofia di vita? Che la folle sfrenata commercializzazione di un’arte come il tango possa portare a dimenticarne le origini?

Sono una donna luchadora. Amo la bellezza dei corpi in movimento. Ma non ne sopporto la mercificazione. Soprattutto se si tratta dei corpi femminili. E penso di non poter tollerare, dunque, neanche la mercificazione del tango e delle milonghe. Forse, dunque, è vero quel che un gruppo di giovani tangueri romani inizia a sostenere con forza. Qui a Roma, infatti, c’è un gruppo di ragazzi che ha da poco lanciato “Bombilla”. “Bombilla – uno di loro spiega - in spagnolo è la lampadina, è l’idea di un posto essenziale: una stanza, una luce e la musica. Niente laser colorati, niente aperitivi, niente esibizioni, niente fronzoli. Solo l’essenziale per ballare”.

Tornare, dunque, alla bellezza dell’essenziale. Perché è lì che le anime trovano lo spazio per riascoltarsi in tutta la più profonda sensualità, femminile e maschile. Perché la sensualità, certamente, non è solo donna. E non è solo a senso unico. È anche comunicazione. Non finzione.

La Luchadora


Ott
08
2010
1

I diari della Luchadora #3

Un cappello a cilindro, una mariposa e un appassionato divertimento

Quante volte nella vita immaginiamo una situazione che siamo certi prima o poi dovrà accadere, ma la immaginiamo lontana perché al momento non ci sentiamo all’altezza di fronteggiarla? E se, inaspettatamente, quella situazione dovesse capitare quando ancora non ci sentiamo pronti ad affrontarla? Che fare? Evitarla o prendere coraggio pensando che un “no” potrebbe costituire la perdita di un’occasione?

Entro in milonga insieme al mio gruppetto di amici tanghéri (milongueros. Ndr). E’ una milonga all’interno di un vecchio circolo culturale nella periferia urbana. Sul fondo della sala c’è una vera orchestra argentina che suona dal vivo. Arriva il primo invito. È stata una giornata pesante e mi sento stanca. Ma accetto. Forse il tango mi aiuterà ad alleviare la stanchezza della quotidianità, penso. Purtroppo già dopo il primo tango vorrei subito andarmene: non ritrovo la sintonia nei passi, l’ascolto reciproco. Il ballerino mi abbraccia distrattamente. Guarda i suoi piedi. Sembra non vedermi, non sentirmi. Si ostina a farmi fare cose che il mio corpo non vuol seguire. Ma resisto solo per educazione, tentando di non far trapelare l’eccessivo fastidio per quella tanda condivisa con un compagno che sembra non capire che a ballare siamo in due. Finita la tanda mi vado a sedere al tavolo e a salutare un’amica che non incontro da anni. Meraviglia del tango: nelle milonghe capita di rincontrare persone che proprio non ti aspetti di incontrare! Mentre io e lei parliamo, una di fronte all’altra, a sorpresa una mano maschile si appoggia sul tavolo. I miei occhi vanno su quella mano. Risalgono il lungo braccio in direzione del volto della persona che si è intromessa tra me e la mia amica: “il fenomeno” è in piedi davanti a me. Ha la testa leggermente reclinata verso la mia. Sorride e tiene la sua mano sinistra aperta per invitarmi a ballare.

“Il fenomeno”. L’ho notato sin dalle mie prime serate in milonga. L’ho notato subito per il suo stile energico e così sopra le righe. Chi non l’ha notato? Mi hanno detto che non balla da molto tempo. Anzi, da pochissimo. Per questo l’ho soprannominato “il fenomeno”. Ogni volta che mi capita di guardarlo ballare rimango estasiata. Mette passione anche nello sguardo, nelle espressioni del volto. E la cosa entusiasmante è che riesce a trasmettere tutto questo alla partner, coinvolgendola. Una volta, mentre lo osservavo ballare, un mio amico mi ha chiesto: “E se t’invitasse a ballare? Se ti dovesse chiedere: Balliamo?” Senza pensarci su ho risposto al mio amico: “Gli direi: sì, nell’agosto del 2011… ma anche nell’agosto 2012! … ora non mi sentirei affatto pronta.” Il mio amico ha tentato di farmi capire che i bravi tanghéri sanno far ballare bene le donne. E lo so anche io. Quante volte, a noi donne, ci è capitato di ballare con esperti tanghéri, soprattutto con i più “anziani”, e di scoprire di essere in grado di fare cose che non ci saremmo mai immaginate di poter fare? Ebbene, “il fenomeno” era diventato il tormentone ironico del nostro piccolo gruppo di tanghéri. Ogni volta che usciva fuori l’argomento “il fenomeno”, il tutto si concludeva con la mia frase: “Agosto 2011”.

Ebbene, “il fenomeno” è di fronte a me, tiene la testa leggermente reclinata verso la mia e sorride come se tenere quella sua mano sinistra che mi invita a ballare sia la cosa più naturale del mondo. Dunque: che fare? Declinare l’invito rischiando che si offenda e che non mi inviti mai più a ballare? O accettare andando incontro al rischio di non riuscire a stargli dietro? Lui è lì che aspetta. Io guardo la mia amica. La mia amica mi guarda e mi dice: “Vai!”. Il mio amico – sempre il mio amico che assiste a tutte le situazioni più assurde che mi capitano in milonga!– ha visto tutta la scena e mi guarda in cagnesco, come a dire: “Non fare la stupida: accetta!”. Io so solo che mi alzo in piedi accettando l’invito e pensando: “In fondo cosa potrà mai accadermi?”. E, mentre penso questo, farfuglio qualcosa del tipo: “Doveva essere non prima dell’agosto 2011…ma anche agosto 2012!”. “Il fenomeno” non capisce cosa ho detto e io non faccio in tempo a spiegarglielo che mi ritrovo nell’abbraccio. Il cuore corre perché tutto ciò è inaspettato. Cerco di calmarmi e mi ripeto: “Smettila di agitarti: altrimenti non ti godi il momento!”. Il cuore batte forte al ritmo dei nostri passi. Lì capisco il significato profondo delle parole di Pedro Vargas. Sto ballando al ritmo che più si avvicina al compas del mio corazon. E se così non fosse, significa che sto per avere un infarto! Ma – penso alla fine del primo tango e nell’attesa del secondo – l’infarto c’è se il cuore cessa di battere. E io, invece, posso sentirlo forte e chiaro: sono viva!

La tensione del primo tango inizia a sciogliersi. Fino a quando, tra i nostri passi divertiti, scompare del tutto. Già. Perché per la prima volta mi sto veramente divertendo. I nostri piedi s’inseguono. E scopro che la passione può annidarsi anche nel divertimento. Un appassionato divertimento. L’orchestra dà il via al terzo tango: “La mariposa” di Osvaldo Pugliese. E, di nuovo, l’abbraccio. Un lungo respiro per ascoltarsi e, poi, via. Si riparte. Quando a un tratto “il fenomeno” si ferma. Il suo braccio destro scivola via dalla mia schiena per andare ad afferrare un cappello a cilindro nero posato su un tavolo al bordo della sala. “Il fenomeno” indossa il cappello a cilindro. Già: è proprio un cappello a cilindro nero! Io penso che tutto ciò sia surreale ma incredibilmente ironico. Così come la vita, se presa per il verso giusto e con la sana dose di coraggio. Il tango di Pugliese sta per volgere al termine. Un ultimo gancio: le nostre gambe rimangono tese fino all’ultima nota. Ancora qualche attimo fermi, avvolti nel silenzio. Per questa sera non voglio più ballare: è stato un tango perfetto. E non voglio contaminare il sorriso tornato sul mio volto.

Chissà, forse non ballerò mai più insieme a “il fenomeno”. O forse sì: perché quando “da dentro” si percepisce il divertimento vitale non c’è neanche bisogno di comunicarselo a parole. Basta un semplice sorriso. Vado, dunque, a dormire. E ora lo so che, con un pizzico di coraggio, ci si può svincolare da un garbuglio di pensieri e timori che ci fanno sentire intrappolati per lanciarsi, invece, nel vuoto. E riscoprirsi una fantastica farfalla.

Una fantastica farfalla che, a sorpresa, si diverte volteggiando attorno a un curioso cappello a cilindro!

La Luchadora

nota: tanghéri - leggi milongueros. Ndr


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Ott
01
2010
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I diari della Luchadora #2

LA MIRADA

La prima volta che mi sono affacciata in una milonga ho strisciato con il corpo sulle pareti della sala per non creare intralcio alle coppie che stavano ballando nella sala. Sono sgattaiolata fino al tavolino a cui erano seduti anche i miei amici e, a bassa voce, ho scambiato qualche chiacchiera di circostanza con loro.

“È la tua prima volta?” ricordo che qualcuno mi ha chiesto. Sì, era la mia prima volta. Non sapevo nulla delle milonghe tranne che fossero luoghi dove le persone si incontrano per ballare il tango. Dopo qualche lezione avevo deciso di accettare quell’invito. Ero curiosa di scoprire, respirare, “il mondo della milonga”.

Dopo pochi minuti che ero seduta al tavolino con i miei amici vedo sul lato opposto della sala un tipo che mi fissa. Distolgo subito lo sguardo pensando: Chissà: eppure non mi sembra di conoscerlo. Passano pochi secondi ed ecco che la mia curiosità mi spinge a volgere lo sguardo verso quello sconosciuto: era ancora lì che mi guardava. Ma cosa vorrà mai da me? ho pensato. Gli sorrido. Ma solo per educazione. L’avrò conosciuto chissà dove! e mi rimetto a chiacchierare con i miei amici. Pochi minuti dopo con la coda dell’occhio vedo che il tizio in questione cammina lentamente, ma con passo deciso, nella mia direzione. Non starà venendo qui. Sì, sta venendo qui. Ah! Ho capito: sarà un amico dei miei amici! E quando è quasi di fronte a me, con l’occhio languido, reclina un po’ il capo verso la sua spalla destra e di colpo mi fa cenno di seguirlo.

“Ma questo ora che vuole?” esclamo io ad alta voce, cercando l’approvazione negli occhi dei miei amici. Il tizio in questione non si ferma un secondo di più. Imbarazzato, vira velocemente a destra e prosegue nella sua camminata facendo il vago. Dal portamento della sua ritirata si direbbe che sembra quasi sperare che nessuno abbia visto la scena. Invece, uno dei miei amici, seduto al tavolino con me, ha visto tutto e allora gli dico: “Roba da matti! Cosa voleva quello?”. Il mio amico scoppia a ridere. Non riesce a parlare per quanto sta ridendo. Finalmente, asciugandosi le lacrime agli occhi, risponde: “Era una mirada!”

La mirada. Come si riconosce una mirada? Come si fa? Quando si fa? E, soprattutto, chi la può fare? Solo gli uomini o anche le donne? Dopo diversi mesi da quella prima mirada, e dopo tante milonghe in cui sono entrata, ancora tento di imparare a riconoscere una mirada. E non è facile: soprattutto se sei seduta accanto a tante altre donne. Soprattutto se, come qualche mia amica, sei miope e non metti gli occhiali per sembrare più attraente!

B. ha iniziato a ballare il tango da pochi mesi e anche lei è già una “tango-addicted”. È una ragazza all’apparenza cinica e un po’ sfrontata. Ma forse queste sono solo maschere usate per nascondere bene la sua timidezza. Quando ho chiesto a B. come fa a riconoscere una bella mirada mi sono sentita rispondere: “E chi può stabilire quale sia una bella mirada?”. Ed è stato a quel punto che B. mi ha voluto raccontare la mirada più bella che le sia mai capitata.

“Una mirada reciproca durata un’intera serata. È successo questa estate. A inizio agosto. Faceva caldo. E noi tangheri eravamo in una bella piazza di Roma a ballare. La serata milonguera era appena iniziata. Ricordo l’incrocio dei miei occhi con gli occhi di uno sconosciuto: era in piedi all’altro capo della piazza. Ricordo i nostri sguardi furtivi anche mentre lui ballava con altre donne e io con altri uomini. Eravamo abbracciati ad altre persone, eppure, i nostri occhi continuavano a sfiorarsi. Per tutta la sera. Ricordo il dolce dolore per l’attesa dell’invito. Ricordo che più di una volta, tra una tanda e l’altra, da lontano, lui guardava me, io guardavo lui. Divertiti, distoglievamo lo sguardo contemporaneamente. Fino a quando…“Questa, ragazzi, è l’ultima tanda. Chiudiamo con una selezione tutta italiana!” ha annunciato il musicalizador. Lo sconosciuto tanghero è venuto nella mia direzione. Un’ultima lunga mirada. Un sorriso accompagnato dalla gentile offerta del suo abbraccio. Ricordo la naturalezza con cui ho appoggiato la mia mano destra sulla sua mano sinistra. Un primo tango per conoscerci. Un secondo tango per emozionarci. Un terzo per salutarci Con una rosa di Capossela. E a sorpresa, sulle note di Mannarino, il musicalizador ci ha fatti salutare con un ultimo sorriso danzante. Che strano provare forti emozioni con un perfetto sconosciuto di cui non si sa neanche il suono della voce. Quel tanghero l’ho rivisto altre volte. Non ci ho mai parlato. Spesso ci scambiamo brevi cenni di saluto. Evito il suo sguardo. E, a dir la verità, spero di non ballare mai più con lui. Sarò pazza, ma è troppo forte la paura di sbiadire un bel ricordo durato lo spazio di quattro brani musicali”.

Quando B. mi ha raccontato questa storia ho certamente capito una cosa: che ancora non ho ben capito cosa sia “una bella mirada”! Perché, in fondo, “chi può stabilire quale sia una bella mirada?”. Ma forse B. mi ha fatto capire anche qualche altra cosa. Che potrà anche esserci un’etichetta da seguire, ma che uscire dai binari a volte può essere più emozionante. E che forse sarà proprio il tango a scaldarci dalla fredda quotidianità metropolitana. A farci riappropriare della bellezza di uno sguardo improvviso e inaspettato.

La Luchadora

Written by Luchadora in: Varie | Tag:, , , , ,
Set
24
2010
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I diari della Luchadora

Cari Visitatori,

ci è sembrato carino ospitare gli articoli di una nuova redattrice, una milonguera neofita, che qui, con queste prime poche righe, presentiamo con il suo nome di battaglia tanguero: “La Luchadora” ! :-P

La luchadora scriverà dunque per voi, per noi, le sue pagine di diario, il punto di vista di una donna che inizia il suo cammino milonguero, la sua passione, le sue scoperte….finchè ne avrà voglia.
Riflessioni che spero ci facciano vivere momenti nuovi, oppure ricordare quelli già vissuti, ci facciano fermare a considerare oltre ai passi, alla musica, cosa c’è di nuovo e antico che riscopriamo nel ballo di coppia.Nel Tango Argentino.

Le auguriamo buona penna a Lei, buona lettura a Voi, nella speranza che alla fine ci si ritrovi comunque sempre nell’abbraccio della musica e della passione.

 

I diari di una Milonga #1

Passione, desiderio, amore, delusione o, semplicemente, curiosità. Cosa spinge una persona, a prescindere dal sesso, dall’età, dall’estrazione sociale o dalla cultura, ad avvicinarsi al tango? Perché è inutile negarlo: c’è sempre un motivo iniziale che conduce a lanciarsi in questa danza. Una danza che allo stesso tempo è una sfida continua in cui si riscopre se stessi e il rapporto con gli altri. Il tango è un insieme di gesti a cui spesso non siamo più abituati. Già. Non siamo più abituati a quell’insieme di gesti che, invece, dovrebbero essere spontanei, naturali. Ma perché? Cosa ci ha portati a non trovare più il naturale conforto nell’abbraccio con l’altro?

Ogni volta che entro in una milonga – che la milonga in questione sia in un’elegantissima sala o una semplice strada della mia città in cui l’unico tetto è il cielo stellato – osservo le donne e gli uomini che mi stanno attorno. E fantastico su quella moltitudine variegata di microcosmi, apparentemente impenetrabili, che mi circondano e che si incrociano anche solo per il breve spazio di una tanda.

Ma a volte capita che qualcuno di quei microcosmi decide di aprire una piccola fessura. Una piccola finestra da cui posso sbirciare. Una parola, uno sguardo, un abbraccio, un gancio fatto al momento giusto. È così che la milonga appare ai miei occhi come una piazza in cui va in scena la vita: il tango. Perché che cos’è il tango se non una metafora della vita stessa?

Con un’unica differenza. Se nella vita quotidiana è possibile nascondere i sentimenti per timore di dover subire il giudizio esterno, nel tango no. Che strano incantesimo il tango! Attraverso un abbraccio, spesso, anche la persona più timida può arrivare a dimenticare di avere gli occhi altrui puntati addosso. Nel tango il nostro stato d’animo uscirà comunque allo scoperto, così come la nostra natura e le nostre inclinazioni.

Voglio cominciare questo viaggio complicato nel mondo del tango scrivendo insieme a voi “I diari di una Milonga”. E se il tango è una metafora della vita, questi saranno i diari di chi, da un giorno all’altro, ha riscoperto la bellezza della vita in tutte le sue complessità. E, una volta riscoperta, non ne ha più potuto fare a meno. Saranno i racconti di chi, una volta riscoperta la vera essenza de “l’esserci insieme a l’altro”, non ne ha più voluto fare a meno.

La Yumba - Osvaldo Pugliese


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Set
08
2010
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Iniziano i Corsi di Tango Argentino alla Maison De La Danse

Iniziano le Lezioni di Tango Argentino per la nuova stagione il 29 settembre 2010

Mercoledì 29 lezione inaugurale gratuita aperta al pubblico.

Luogo: Maison De La Danse
Via Assisi 37 Roma
Iscrizioni aperte per la stagione 2010-2011
Mercoledìore 21,30 corso principianti
Martedì ore 21,30 corso intermedio/avanazato.

PROMOZIONE TANGO GIOVANI

Hai meno di 35 anni ? Sei in coppia ?
PER IL TUO PARTNER IL CORSO E’ GRATUITO !!!

Via Assisi, 37 - 00181 S.Giovanni - Roma

info tel. 06786118
e.mail:chantacuatro@sabordetango.org

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